Il principale ostacolo allo sviluppo è rappresentato dall’enorme debito pubblico, che imponendo l’adozione di politiche di rientro e la destinazione di significative risorse al pagamento degli interessi limita, se non esclude, la possibilità per lo Stato di finanziare innovativi progetti di sviluppo.
Tutti i Governi negli ultimi anni hanno parlato di sviluppo senza poter fare nulla a riguardo, non disponendo di risorse finanziare utilizzabili. Tuttavia una forte riduzione del debito pubblico non può passare per inasprimenti del carico fiscale, ormai insopportabili e da ridurre.
I governi precedenti hanno percorso questa strada, vecchia, classista e inadeguata, con la conseguenza di avvitare il Paese in una perversa spirale recessiva con un aumento, contemporaneo e parallelo, di pressione fiscale e debito pubblico, entrambi originati dal sensibile calo del PIL; determinato, innanzitutto, proprio dall’uso eccessivo e non selettivo della leva fiscale.
Occorre cambiare approccio e per farlo bisogna:
- acquisire al patrimonio pubblico in riduzione del debito i 250 miliardi di riserve disponibili, auree e valutarie, detenute dalla Banca d’Italia, previa adozione dei necessari provvedimenti normativi e d’intesa con la Comunità Europea;
- acquisire al patrimonio pubblico in riduzione del debito tutti i patrimoni liquidi, partecipativi e immobiliari delle Fondazioni Bancarie e non, con adozione delle opportune cautele nella gestione ed oculata dismissione delle quote partecipative di Banche;
- alienare una parte di circa 50-100 miliardi di patrimonio pubblico, partecipativo ed immobiliare, prevedendo con legge speciale la possibilità di immediato utilizzo dei beni acquistati. È invero impossibile reperire acquirenti obbligandoli a definire poi con i Comuni, le Sovraintendenze, le Regioni, il Ministero ecc. ecc. l’utilizzo dei beni;
- introdurre una ragionevole imposta patrimoniale a carico di coloro che hanno un patrimonio finanziario, mobiliare ed immobiliare netto dal debito, complessivamente superiore ai dieci milioni di euro. Questo sarebbe un modo concreto per dimostrare agli italiani che anche i benestanti intendono contribuire attivamente e visibilmente al risanamento delle finanze pubbliche (per valore stimato attorno ai 300 miliardi di euro).
Gianpiero Samorì